Ottobre 2012 —
Ben riuscito l’atteso incontro su Francesco Paolo Borazio, nel pomeriggio di lunedì 29 Ottobre presso i Laboratori Artefacendo di San Marco in Lamis, nell’ambito della sessione “Dialetto passato presente futuro” che la Putèca promuove per presentare o riproporre le figure di ognuno degli Autori nel dialetto sammarchese, operanti nell’oggi o appartenenti al passato. Presenti alcuni familiari di Borazio. È stato il prof. Raffaele Cera, che ha volentieri accettato l’invito dell’Officina letteraria, a tornare sulla figura del noto poeta.
Luigi Ianzano ha introdotto l’incontro confessando una certa trepidazione, «per l’attenzione che si deve a Borazio e per il rispetto che si deve a chi, in questi decenni, ne ha fatto oggetto di studio, anche molto autorevole. La nostra comunità deve un tributo di riconoscenza al compianto Michele Coco, ad Antonio Motta e Cosma Siani, prima, per aver curato nel 1977 la pubblicazione del poemetto Lu Trajone; a Sergio D’Amaro, Antonio Motta e Cosma Siani, poi, per aver raccolto nel 1982, col titolo La preta favedda, le poesie in vernacolo. Lu Trajone riporta un saggio introduttivo di Francesco Sabatini, e La preta favedda la prefazione di Tullio De Mauro, due grandi nomi della linguistica. Nel 1999 Antonio Motta dà alle stampe, con nota di Roberto Roversi, sempre per i Quaderni del Sud, un catalogo illustrativo di libri, inediti, giornali satirici e manifesti politici di Borazio, carte originali e immagini inedite esposte nella primavera di quell’anno in Biblioteca comunale per una mostra bio-bibliografica. Nel volume la bibliografia dettagliata della critica e l’indicazione delle antologie in cui il Nostro è menzionato, fino al 1999. Il nome di Borazio, infatti, compare in antologie qualificate (come quella ultima curata da Francesco Granatiero per i Sentieri Meridiani, Dal Gargano all’Appennino le voci in dialetto) e ha sempre richiamato, e continua a richiamare, l’interesse di studiosi e uomini di cultura, tra cui il prof. Raffaele Cera, che stasera ci onora col suo apporto».
Luigi Ianzano ha dichiarato che il ritorno sul poeta è anche animato da venerazione, dal fascino che emana la figura, «stella polare nella cultura linguistica locale, che si respira rileggendo tanta produzione, così come dai tratti somatici ‘addevine la streppima’, cogli un’appartenenza, che poi è inconscia. Forse è improprio ritenere che tutto possa ricondursi a Borazio, che Borazio sia il Pater, ‘lu Tatarosse’, per via della presenza di altri riferimenti autorevoli, e anche molto colti (vedi Tusiani). Ma si deve riconoscere il compimento di una profezia, annunciata dai curatori de La preta favedda nell’Avvertenza al volume, dove scrivono: “Le edizioni di Lu Trajone e La preta favedda, avendo come primo scopo quello di rendere disponibili i testi fondamentali di Borazio, se non ambiscono a fondare una tradizione, possono forse aspirare ad aprire un varco per un ruolo di genuina espressione popolare”. Una premonizione, allora, che aveva forse il sapore di un “siamo convinti che succederà”, e che oggi sa di una profezia compiuta, che anzi continua a compiersi, se è vero che le fonti e i richiami primordiali si sedimentano nell’animo dei figli-poeti e, per questa via, giocoforza si ripropongono».
Il prof. Cera si è complimentato per l’attività culturale della Putèca, permeata dal nobile scopo di riferirsi alle radici di un’identità, «maneggiando una materia nobile» qual è la letteratura dialettale. Cera ha tratteggiato la personalità di Borazio, «figura singolare e unica sotto il profilo culturale ma anche umano», richiamando il proprio approfondito lavoro di analisi sull’umanità e la poesia del poeta (cfr. Raffaele Cera, Letteratura di Capitanata tra mito e realtà, Tiemme Manduria, Taranto, 1993, pp. 15-32), «poliedrica figura di artista, un genio che, pur senza solide basi scolastiche, intuì l’enorme importanza della formazione e dell’autoformazione culturale». Fondamentale la vicinanza di Pasquale Soccio e dei cultori dell’epoca, che ha affiancato nella fondazione della Società di Cultura “De Bellis”.
La poesia di Borazio – ha ricordato Cera – ha il merito di aver dipinto «l’umanità sammarchese degli anni Cinquanta, microcosmo di straordinario interesse; aspetto, questo, non colto da Francesco Sabatini nel saggio introduttivo a Lu Trajone». Una poesia costruita con ironia e autoironia disincantata, con una satira mai aspra, con un’espressività «intrigante» che merita approfondimenti linguistici, e con il ricorso a «strutture formali assai sofisticate usate con tale spontaneità da non lasciar immediatamente trasparire la perfezione dell’artificio».
L’intervento di Raffaele Cera, professionalmente pregnante e scientificamente sintetico, è stato seguito da un partecipato dibattito che ha offerto interpretazioni, impressioni, attestati di devozione per un grande poeta che ha colorato la vita di ognuno e segnato il cuore di un’intera tradizione.
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Leonardo Ianzano e Raffaele Nardella jèttene lu banne dellu Fetente (Lu Trajone, canto III, sestine 2-4)
Lo scambio dei saluti al termine dei lavori
La foto di gruppo degli Autori presenti con il relatore e i familiari del poeta
Filmato riassuntivo